Pillole sul Dopo di Noi – Daniela Infantino

Si è svolto il 15 ottobre scorso a Tricase, presso la Sala del Trono di Palazzo Gallone, un convegno organizzato dalla “Associazione La Ragnatela” e dal “Centro Servizi Volontariato Salento”, dal titolo “Dopo di noi – Legge 112 – Speranze, Realtà e Prospettive. Per una disabilità con futuro”.
Si tratta appunto della Legge 22 giugno 2016 numero 112 (pubblicata nella G.U. numero 146 del 24 giugno 2016), e rubricata “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare”.

Da tempo si attendeva l’emanazione da parte del legislatore di una legge che regolamentasse il “dopo di noi”, ovvero quello che accadrà ai figli disabili quando i genitori non ci saranno più, argomento molto caro ovviamente ai genitori stessi.

All’indomani dell’emanazione la stampa, i social, per la strada, al bar, si è tanto parlato di questa legge, da alcuni definita “un segno di grande civiltà”, da altri una legge tagliata sulle esigenze economiche e finanziarie.
Ma questa legge era davvero necessaria? Quali erano le speranze dei familiari? Cosa dice e, soprattutto, cosa avrebbe dovuto dire?

Andiamo per ordine.
Iniziamo innanzi tutto col dire che cosa avevamo già nel nostro ordinamento, ovvero quali gli istituti giuridici esistenti che in un certo qual modo, seppur con qualche limite, potevano – possono essere utilizzati per proteggere/organizzare il futuro del figlio disabile quando il genitore non ci sarà più. Si pensi ad esempio alla donazione modale, oppure alla sostituzione fedecommissaria, ma principalmente all’amministrazione di sostegno.

L’amministrazione di sostegno è stata introdotta nel nostro ordinamento con la Legge 9 gennaio 2004 numero 6:

istituto che pone al centro la persona, con le sue “esigenze, aspirazioni, richieste, interessi e bisogni”, in linea con i principi della carta costituzionale, ed in particolare con il secondo comma dell’articolo 3 della

Costituzione“ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

E’ uno strumento che parte dal basso, con la minor limitazione possibile per il soggetto debole, particolarmente duttile, polivalente ed adattabile in base alle necessità del singolo, predisposto dal Giudice in base alle necessità concrete del caso.

Forse proprio nel termine “predisposto” si potrebbe riscontrare un limite operativo all’utilizzo di tale strumento per il caso che qui ci interessa.

Il genitore, infatti, può ben designare un amministratore di sostegno che si prenda cura del figlio quando lui non ci sarà più, ma questa designazione incontra due limiti significativi.

Il primo è che la designazione non è vincolante per il Giudice Tutelare, il quale potrà designare altra persona, quale amministratore di sostegno, rispetto a quella indicata dal genitore, ritenendola di fatto più adatta.

Il secondo limite è che il Giudice Tutelare “predispone” il decreto di nomina. Appartiene all’apprezzamento del Giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle esigenze del beneficiario, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per suo conto, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie.

Se il primo limite, ovvero quello della designazione, è pressochè insuperabile, per il secondo si può ovviare. E come?

Il genitore per “blindare” la designazione/progetto, deve fare qualcosa in più: deve indicare i criteri

gestionali ai quali l’amministratore di sostegno dovrebbe attenersi nel suo futuro lavoro, ovvero tratteggiare le linee generali che l’esistenza del proprio figlio dovrà seguire in futuro con riguardo a tre importanti aspetti che si possono paragonare allo “scooby-do”, aspetto personale, aspetto sanitario e aspetto patrimoniale.

La finalità primaria della misura di protezione è la cura della persona, che trova la propria consacrazione negli articoli 404 e seguenti del c.c., ossia la capacità di ascolto dei bisogni e dei desideri del soggetto debole, oltre che la valutazione delle sue aspirazioni. Funzione strumentale invece avrà l’amministrazione del patrimonio rispetto alle esigenze di cura.

Deve trattarsi di un progetto di rete volto a raggiungere dei traguardi, a rimuovere degli ostacoli o degli impedimenti, tutto finalizzato a non mortificare e a non abbandonare.

Quello che abbiamo. La legge parla (solo due volte) di un “progetto di vita” richiamando quanto previsto nel secondo comma dell’art. 14 della Legge 328/2000.

Il progetto disciplinato dalla 328/2000 consiste in una valutazione diagnostico/funzionale; in prestazioni di cura e riabilitazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale; in servizi alla persona; nelle misure economiche necessarie al superamento della povertà, emarginazione ed inclusione sociale.

La legge 328/2000 a sua volta richiama la legge 104/1992 dove, però, non si fa cenno ad un “progetto di vita”, bensì, più genericamente, a “programmi finalizzati all’integrazione sociale”.

Ma torniamo al progetto di vita della Legge 112/2016. All’interno della legge soffia un “venticello esistenzialista”, ma solo dove si dice che il soggetto fragile deve partecipare, dire la sua, relativamente al “progetto di vita”, e dove si dà risalto alla necessità per il soggetto disabile di vivere all’interno della sua casa e quindi ad essere “de-istituzionalizzato”.

Oltre a questo, nulla più. Il resto dell’impianto letterale della legge sposta nuovamente l’asse dalla persona al patrimonio, previsione del trust, di negozi fiduciari e di altri negozi giuridici destinati a regolamentare il patrimonio, il tutto in contro tendenza rispetto agli enormi passi in avanti fatti dal 1942 ad oggi con una serie di leggi che hanno messo al centro la PERSONA, con le sue esigenze, la sua dignità e la sua fragilità.

Che cosa avremmo voluto?

Nella legge sul Dopo di noi si sarebbe potuto fare di più, si sarebbe potuto “raffinare” il “progetto di vita”.

Il cruccio maggiore del genitore del figlio disabile è quello di non sapere cosa accadrà dopo la sua morte e soprattutto se la persona indicata a prendere “le consegne” del figlio si comporterà come da lui sperato.

Il genitore potrebbe anticipare questo “passaggio di consegne”, cooperando ad organizzare il progetto dal vivo. Si creerebbe così una scena in cui il nuovo amministratore di sostegno si prende cura del figlio disabile, mentre il genitore è ancora lì, presente, come un regista che gira le scene del suo film. Vari gli attori presenti: il Giudice Tutelare, i servizi, i medici, gli assistenti sociali e anche i parenti, gli amici..

In questo progetto dal vivo, il genitore è in grado di spiegare e articolare tutti i passaggi che lui immagina per il figlio: una sorta di prova generale a futura memoria.

Solo i genitori sanno come cosa e quando. Il loro cuore batte in sintonia con quello dei figli.

In conclusione si può dire, utilizzando lo slogan per la giornata mondiale del Servizio Sociale, che “Le società prosperano quando la dignità e i diritti di tutte le persone sono rispettati.”