Il senso delle cose

La nascita dell’Associazione La Ragnatela, avvenuta in Aprile dell’anno 2015, è stata l’occasione per raccontare, confrontare, promuovere, discutere esperienze, sentimenti, delusioni e speranze maturate in 38 anni di comunione di vita con mio figlio Carlo, affetto di tetraparesi spastica dall’ età di 3 mesi e dal 1998 interdetto, con il quale condivido cure, tutela e soprattutto scambio d’amore giornaliero.
La Ragnatela non è un organizzazione nel senso ordinario della parola. Vuole essere un foro d’ascolto, di proposte, di iniziative e di valutazione del vissuto personale proprio e di tutti coloro che vivono una quotidianità condizionata da un potenziale umano, non favorito dalla nascita o per causa successiva.
Sono ormai convinta che non c’è speranza seria sulla possibilità che un mutamento anche impercettibile della loro situazione avvenga durante la nostra vita, con la realizzazione della pienezza del diritto del singolo individuo, a non essere limitato nel godimento di una libertà fondamentale: quella di poter dire “ io”.
Nella realtà, invece, il più delle volte, i nostri sguardi scivolano senza vedere sul complesso mondo della disabilità, considerata come una categoria da proteggere, ma che, in pratica, si ghettizza in una spersonalizzazione cui garantire cura quando è possibile, o prevedere la nomina di un tutore o un amministratore di sostegno, sempre con un patrimonio a garanzia.
A questo punto si nega la identità, la volontà, la libertà connaturata per nascita ad ogni uomo, quale che sia la sua condizione, pur attraverso un processo di graduale differenziazione o specificazione dei bisogni e degli interessi, di cui si chiede comunque il riconoscimento e la protezione.
La nostra sfida è questa: dall’ emersione di una realtà numericamente significativa della c.d. categoria della disabilità riusciamo a far avanzare un discorso di rivendicazione dell’ identità soggettiva?
Riusciamo a passare dalla indifferenziata e generica categoria dei soggetti disabili, all’ individualità del singolo, per se stesso, e non come confuso aggregato in un gruppo, la cui identità deve essere veicolata da persone “normali”?.


Ogni persona ha bisogno di cure sanitarie e di un’attenzione particolare. Si deve uscire dall’indistinto per tornare ad essere ed agire come singolo; inizio e fine di ogni cura di sanità ed attenzione d’amore.
Non vogliamo più una pietà che si traduce in un conservatorismo compassionevole o una protezione assicurativa, ma rivendichiamo un solidarismo per rispetto ad una identità libera.
Dobbiamo ritrovare, per loro, la strada maestra di una vita da vivere, con il massimo della partecipazione possibile, riconoscendo loro emozioni ora perdute e negate.
Il nostro è un tempo frammentato, in cui si fa fatica a riconoscersi al di fuori dei modelli proposti come omologati e trainanti. Mentre le situazioni di sofferenza individuale e collettiva sono marginalizzate dall’ edonismo imperante e da un modello di giovanilismo senza tema a dispetto della crescita di scenari preoccupanti.
Abbiamo un enorme bisogno di partecipazione, che non si può affrontare solo con i buoni sentimenti; dobbiamo dargli spessore, pensiero, forme di organizzazioni diverse, capacità di essere risposta vera per la sofferenza di tanti cui si nega l’ identità e nei cui confronti c’è una sorta di censura preventiva sui disagi che la vita loro offre quotidianamente.
Sono argomenti scomodi che si tenta di rimuovere con tutte le forze, con la speranza che non abbiano mai a riguardarci da vicino…., ma accade!
Il mondo della disabilità è l’unico caso per cui si è giudicati per quelli che siamo, non per quello che facciamo.
Questo modello va contro l’interesse del singolo, è iniquo! .
Un sistema così miserando, inefficiente, costoso e sostanzialmente inumano ha un disperato bisogno di migliorarsi; perciò dobbiamo, noi familiari, metterci in gioco, perché non va mai dimenticato che sull’ambito familiare grava il peso di tutte le problematiche della persona disabile cui va garantita una vita degna anche quando la rete di supporto, per vicende di vita, si dissolve e non si può confidare solo sulla destinazione vincolata di un patrimonio.
Il deficit maggiore resta sempre la copertura d’amore.
La realtà ci offre la proliferazione di iniziative, una varietà di meccanismi di partecipazione, finalità di vario coinvolgimento. Tutte giustificano la necessità di trovare strategie ed obiettivi graduali, insieme con condivisione di tecniche di comunicazione.
L’obiettivo ambizioso è quello di contribuire a fare ”rete”, a promuovere ed intensificare i collegamenti con una rete “fisica” di coordinamenti vari (settoriali, territoriali, specialistici, ecc…) e con una “rete telematica” che favorisca la circolazione delle informazioni, delle opinioni, dei centri di specializzazione e delle proposte di base.
Occorre favorire la realizzazione di una rete che mantenga la spontaneità ed il pluralismo delle molteplici iniziative, con la possibilità della conoscenza reciproca e la circolazione dell’informazione e delle esperienze, maturate nella quotidianità del vissuto familiare, ed ancora, di tutto ciò che viene prodotto in idee, progetti, programmi per non rassegnarsi all’emarginazione e contro ogni riduzionismo a soggetto non cosciente e volente.
Il mondo della disabilità è ancora percepito, analizzato, disciplinato ed emarginalizzato nei fatti, perché mai in primo piano c’è l’ “IO”.
Primariamente c’è la rivendicazione ad essere persona, potenzialmente piena di contenuto e non come soggetto oggettivato.
Così il moltiplicarsi di associazioni, di professionisti che hanno scoperto un nuovo ambito di specializzazione, originato dalla Legge del “Dopo di Noi”.
Ma noi, che viviamo quotidianamente la vita ingrata dei nostri figli, siamo impegnati in un’opera di rivendicazione di una pienezza di diritti.
Quello che auspichiamo è una rete di protezione, ma soprattutto una rete d’amore che si estenda per quando noi non ci saremo più.
Sarebbe un modo di restituzione minima di quell’amore che quotidianamente ci viene donato dai nostri figli per cui non riusciamo ad immaginare una giornata senza la loro presenza.
Tanto premesso e chiarito, e una “volta per tutte”, qui ribadiamo il nostro impegno nel perseguire gli obiettivi che l’Associazione “La Ragnatela” si è posta al momento della sua fondazione e che ha maturato in una serie di incontri e confronti per far emergere un comune programma di lavoro, per uscire finalmente dal limbo della fatalità, per elaborare un programma che richiami l’attenzione dell’opinione pubblica oltre che del legislatore e degli esperti.

Il Presidente dell’Associazione “La Ragnatela”

Silvia Katharina Hoeck

Ugento, 20 Febbraio 2018