Filiazione

Ugento, 10.01 2018

Riforma sulla filiazione: “Pillole” su cosa cambia..

Qualche riflessione, seppur a distanza di qualche anno, sulle modifiche al diritto di famiglia, di cui alla Legge 10 dicembre 2012 n. 219 e al Decreto Legislativo 28 dicembre 2013 n. 154. Nucleo essenziale della modifica è la “filiazione senza aggettivi”.
Il diritto di famiglia è senza dubbio uno dei settori giuridici più difficili da codificare e modificare. La famiglia non ha infatti una definizione giuridica; si parla di società naturale (art. 29 Cost.), di isola che il mare del diritto può soltanto lambire.
Le norme, come anche l’attività interpretativa di esse, devono tener conto della evoluzione anche sociale ed economica, del mutato contesto in cui l’interpretazione giuridica deve avvenire.
Secondo un autorevole studioso “l’interpretazione migliore della legge, che non deve essere affidata a dogmi oggettivi, va veicolata da una argomentazione adeguata, e l’adeguatezza va provata da – o coincide con – il consenso della comunità dei giuristi. Bisogna che le categorie seguano l’evoluzione sociale, altrimenti ingessano l’ordinamento, scollandolo dalla vita reale. Da qui la centralità del ruolo del giurista che contribuisce a formare il diritto.
La legge 12 dicembre 2012 numero 219 ed il Decreto Legislativo 28 dicembre 2013 numero 154, con il quale è stata data attuazione alla delega contenuta nell’articolo 2 della Legge 219/2012, rappresentano un importante, seppur a tratti controverso, punto di arrivo del mutamento della visione della famiglia e dei figli.
E’ evidente che siamo in presenza di sempre nuove forme di realtà familiari, caratterizzate da una molteplicità di modelli, alla base dei quali non c’è sempre un matrimonio, e “si assiste sempre più spesso ad una raggiunta normalità sociale della convivenza”, ad una globalizzazione dei rapporti familiari dovuta ai mutamenti dei costumi e delle persone, ma anche all’evolversi delle scoperte scientifiche quali ad esempio la fecondazione artificiale.
La legge ben si inserisce nel complesso delle grandi riforme intervenute nel nostro paese in tema di diritti alla persona. (Divorzio, giusta causa, adozione, interruzione di gravidanza, riforma del diritto di famiglia, legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno per citarne alcune), il tutto in una prospettiva di costituzionalizzazione del diritto privato.
La legge n. 219/2012 ha avuto l’obiettivo precipuo di eliminare ogni distinzione tra figli naturali e figli legittimi, così da parificare i figli concepiti all’interno del matrimonio con quelli concepiti al di fuori di esso. In sintesi, il nucleo essenziale della nuova normativa è la “filiazione senza aggettivi”: essa ha fatto sì che tutti i figli abbiano lo stesso stato giuridico, un’unica identità familiare, acquisiscano rapporti di parentela, abbiano il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti moralmente, nonché gli stessi diritti successori.
Con il decreto legislativo 154/2013 viene compiuto un intervento di rifinitura e di coordinamento delle varie norme, sparse nel codice civile ed in altre leggi, che andavano adeguate alla nuova legge in tema di filiazione. Esso infatti interviene sulle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità, modificando gli articoli in materia di riconoscimento dei figli, di riconoscibilità dei figli “nati da relazioni parentali”, di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, di diritti e doveri dei figli e la competenza del Tribunale dei Minorenni, che risultavano ancora in contrasto con i principi ispiratori della riforma del 2012.
Lo spirito della riforma ha realizzato il principio di uguaglianza tra tutti i figli che la Costituzione prima e la riforma del diritto di famiglia poi non erano riusciti ad attuare completamente, nonché l’obiettivo precipuo di adeguarsi alle norme sovranazionali, quali ad esempio l’articolo 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’articolo 14 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché il regolamento Ce 2201/03 – “ Bruxelles II-bis”.
L’intervento, alquanto complesso, riguarda, oltre le norme del codice civile, alcuni articoli del codice di procedura civile, penale e procedura penale, nonché alcune importanti leggi speciali, quali, per citarne solo alcune, la legge sul divorzio, sul diritto internazionale privato, sull’interruzione di gravidanza.
Viene altresì introdotto un corpus di norme unico e comune per i rapporti genitoriali, rubricati con i nuovi articoli da 337-bis a 337-octies, che diventano le norme di riferimento per tutti i tipi di controversie in tale ambito (sia con riguardo alla separazione, sia al divorzio, quanto all’interruzione di convivenza tra persone non coniugate).
Quali dunque i punti essenziali della Riforma.
Parificazione:
Nucleo essenziale è dunque il principio generale contenuto nell’articolo 315 del codice civile e rubricato “Stato giuridico della filiazione” che dispone “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.
I figli, come già detto, sono dunque tutti uguali ed hanno gli stessi diritti senza specificazione, qualificazione o attributo di sorta, una filiazione senza aggettivi.
La legge, pertanto, supera la distinzione tra figli nati in costanza di matrimonio, definiti figli di “serie A” e figli nati fuori dal matrimonio, definiti figli di “serie B”: un figlio potrà essere riconosciuto dal padre e dalla madre anche se uniti in matrimonio con un’altra persona al momento del concepimento ed il riconoscimento può avvenire sia separatamente, sia congiuntamente, con effetto anche sui parenti e gli affini di ognuno di essi.
Si abbassa anche l’età del figlio che deve prestare il consenso al riconoscimento, che passa da sedici a quattordici anni.
E’ altresì previsto il riconoscimento dei figli nati da persone aventi un vincolo di parentela, anche se si è a conoscenza del vincolo, previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
Riguardo invece all’azione per il disconoscimento, è stato introdotto un termine di prescrizione cosi detto “tombale”, secondo il quale l’azione non può essere, comunque, proposta oltre cinque anni dal giorno della nascita del figlio da parte della madre o del padre. Per quanto riguarda l’azione di disconoscimento promossa dal figlio questa è imprescrittibile.
A seguito della unicità dello status di filiazione sono stati abrogati gli articoli relativi alla “legittimazione del figlio naturale”.
La nuova disciplina ha interessato anche i profili successori. A seguito infatti del rapporto di parentela che si instaura tra il figlio, anche di genitori non coniugati, e i relativi consanguinei, egli è chiamato a pieno titolo alla successione legittima. Inoltre, la novella modifica l’istituto della rappresentazione (art.468 e ss. c.c.), con particolare riguardo alla linea collaterale, ovvero con riferimento ai figli di fratelli o sorelle “naturali” del de cuius, o la previsione, tra i legittimari, ai sensi dell’art. 536 c.c., anche degli ascendenti naturali, nonché l’abrogazione dell’istituto della commutazione previsto dal comma terzo dell’articolo 537 c.c.
Rapporti con gli ascendenti:
Il nuovo articolo 317 bis del c.c., rubricato “Rapporti con gli ascendenti”, recita testualmente:
“Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore, affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma.”
La competenza, secondo quanto previsto dall’articolo 38 delle disposizioni di attuazione, anche esso modificato dalla riforma, è del Tribunale dei Minori.
La ratio si basa sul riconoscimento non solo del legame affettivo nonno/nipote, ma soprattutto sull’importanza del legame culturale tra generazioni, che permette il tramandarsi di conoscenze ed esperienze, di acquisire la memoria storica accumulata nell’arco delle generazioni.
Il legislatore parla di “mantenere” rapporti significativi con i nipoti, presupponendo quindi già l’esistenza di un legame, e preoccupandosi quindi di preservarlo da eventuali interruzioni, parlando genericamente di ascendenti, in modo da ricomprendere anche eventuali bisnonni.
La previsione del mantenimento di rapporti significativi nonno/nipote era tuttavia già stata prevista dal nostro legislatore – ed inserita nell’articolo 155 c.c. come modificato dalla Legge 8 febbraio 2006 numero 54, nota come Legge sull’affido condiviso – ma nel senso inverso, ovvero nel diritto dei minori ad intrattenere rapporti significativi con i nonni.
Responsabilità genitoriale:
La potestà dei genitori è stata sostituita con la responsabilità genitoriale, la quale rovescia la visione prospettica delle dinamiche familiari e svincola il minore dallo stato di “soggezione” dai genitori per renderlo protagonista delle proprie scelte.
L’intento era quello di procedere alla unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli, prescindendo dal fatto che fossero nati nel o fuori dal matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale, anche se in realtà qualche autore ha già rilevato che è la potestà a rappresentare un aspetto della responsabilità.
In tutti gli articoli viene di default sostituita la nozione potestà dei genitori con quella di responsabilità genitoriale, ma non ne viene tracciato il contenuto.
Tale carenza sarebbe dovuta alla necessità (come spiegato nella relazione di accompagnamento al Decreto Legislativo) di riempire la nozione di contenuti in ragione della evoluzione storico socio-culturale dei rapporti genitori-figli.
Tuttavia una definizione della responsabilità genitoriale la possiamo ricavare dall’art.2 n. 7 del Regolamento CE n. 2201/2003, laddove si parla del complesso dei “diritti e dei doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento ed il diritto di visita.”
Per effetto dunque di questa nuova concezione del rapporto tra genitori e figli, esso non si impernia più sul potere dell’adulto nei confronti del minore e dunque sulla corrispondente situazione di soggezione del figlio, bensì sull’impegno che i genitori devono assumere nei confronti dei figli, diventando così strumento per la realizzazione del dovere genitoriale di educare, formare e realizzare gli interessi dei figli.
Ascolto del minore:
Il diritto del minore ad essere ascoltato è un principio noto alla nostra normativa in quanto già previsto nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del Fanciullo e nell’articolo 3 della Convenzione di Strasburgo sui diritti processuali del minore, articoli che attribuiscono appunto al minore il “diritto di essere ascoltato perché possa esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessi”.
Ed infatti già la normativa sull’adozione del 2001 e quella sull’affido condiviso del 2006 erano state influenzate da questa nuova cultura dell’ascolto del minore.
Il novellato terzo comma dell’articolo 315 bis del c.c. dispone che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”
Originariamente previsto come obbligatorio e pensato come un vero e proprio diritto in capo ai minori, si è per così dire trasformato, in seguito alla emanazione del Decreto Legislativo 154/2013 in un ascolto non obbligatorio.
Ai sensi dell’articolo 336 bis c.c., infatti, “se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato.”
Quando può dirsi che l’ascolto è in contrasto o manifestamente superfluo? Ad esempio l’interesse del minore può non coincidere necessariamente con la volontà da lui espressa. La sua volontà è senza dubbio importante, ma non sarà vincolante per il giudice, allorquando, dovendo decidere in tema di affidamento, questi dovrà ricercare il best interest del minore stesso, valutando qual è l’assetto che meglio realizza il suo diritto a vivere in un ambiente armonioso.
Ancora l’audizione del minore può essere manifestamente superflua quando il processo ha ad oggetto solo questioni economiche, ovvero questioni di scarsa rilevanza e di minima importanza per la vita del fanciullo. Sarà invece necessaria quando riguarda le questioni relative alla cura personae.
Quanto alla modalità dell’ascolto è prevista l’audizione diretta e quella indiretta. Nel primo caso sarà il giudice a fornire le indicazioni necessarie al minore e a ricevere le sue dichiarazioni, in modo del tutto informale, ancorché dovrà redigersi dell’ascolto il processo verbale; nel secondo caso l’ascolto avverrà tramite un ausiliario del giudice, psicologo, educatore, che riferirà al giudice.
Come detto all’inizio, modificare il diritto di famiglia non è cosa semplice. Dal 1975, anno della grande riforma del diritto di famiglia, ne sono passati quasi quaranta di anni per approdare ad un nuova, doverosa e significativa modifica.
La giurisprudenza, in ambito familiare, faticosamente ricorre al “diritto vivente”, ovvero all’ interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle norme, cosa che invece avviene molto più facilmente in altri ambiti quali la responsabilità civile o i rapporti contrattuali.
Di certo sono rimasti dei nodi che il legislatore dovrà ancora sciogliere: uno per tutti, sicuramente, una miglior definizione delle competenze tra Tribunale Ordinario e Tribunale dei Minorenni.
I primi commentatori hanno anche parlato di “incongruenze”, di “ritorno al passato” e di alcuni vuoti rimasti, ovvero delle occasioni perdute.
Sarà dunque necessario completare quanto fatto fin ora.
Si auspica di non dover aspettare altri trenta anni per assistere ad una nuova modifica del diritto di famiglia.

Avv. Daniela Infantino, Docente dell’Università di Trieste